Il calcio visto attraverso gli occhi di un poeta, Umberto Saba

Il calcio visto attraverso gli occhi di un poeta: Umberto Saba

 

 

[1]

 

«Squadra paesana

 

 

Il gioco del calcio come “consentimento”, come capacità di farsi tutt’uno col popolo, deposizione dello stolido orologio individuale. Il poeta (non sportivo, non tifoso, affatto ignaro della tecnica del calcio) ha in modo stupendo compreso come ci si possa riscaldare per alcuni che prendono a calci una palla: appena un mezzo, uno strumento, che offre agli uomini dello stesso paese, dello stesso luogo (si badi al titolo, Squadra paesana, cioè della propria città, del proprio paese), l’occasione di essere uniti, di sentirsi assieme agli altri, e realizzare per tale via uno dei pochi attimi sinceri, disinteressati, collettivi, del vivere umano. Di questi motivi, delle ragioni per cui scrisse le bellissime Cinque poesie per il gioco del calcio, il Saba fu pienamente consapevole, nelle pagine della Storia e cronistoria.

Riportiamo perciò anzitutto le pagine in prosa.

 

Le Cinque poesie comparvero nella raccolta Parole (1933-1934).

 

Saba ed il gioco del calcio s’incontrano per opera del “caso”. (Abbiamo messa la parola coso fra virgolette, perché - pur senza saper darne le ragioni - dubitiamo molto che a questo mondo esista un “caso”). Un suo giovane amico (quello che in Scorciatoie e raccontini non vuole essere nominato, tanto che Saba pensò, per un momento, di chiamarlo l’Innominato) gli cedette una domenica il suo biglietto d’entrata allo stadio, dove - per un altro “caso” - egli non poteva quel giorno recarsi. Saba era riluttante ad accettare. Non aveva, fino allora, nessuna simpatia per i tifosi. Tutto quell’entusiasmo e tutte quelle disperazioni per un pallone entrato o non entrato nella rete, lo irritavano. (Avrebbe preferito - si capisce - che i triestini si entusiasmassero per le sue poesie, delle quali invece non facevano nessun conto). Ma era una bella giornata - proprio lo sfondo adatto per una poesia di Saba –– ed egli, anche per fare piacere a sua figlia, e a un’amica di sua figlia, accettò di assistere, una volta tanto, ad una gara. La gara era fra la potentissima Ambrosiana e la vacillante Triestina; e si concluse con quel “nessun’offesa varcava la porta” della poesia Tre momenti; vale a dire con uno zero a zero. Date le proporzioni delle forze in campo fu una vittoria della Triestina. Appena vide i rosso alabardati [cioè i calciatori della squadra triestina] uscire di corsa nel campo fra il delirante entusiasmo della folla… il poeta si sentì perduto. L’amico che gli aveva regalato il biglietto disse poi che la cosa era stata da lui perfettamente prevista. E noi, che consideriamo il nostro Innominato come la persona più intelligente che abbiamo avuto il piacere di conoscere, non facciamo nessuna fatica a credergli.

Nulla infatti, se si esamina l’accaduto un poco in profondità, è meno strano dell’entusiasmo di Saba. Egli si entusiasmò per le stesse ragioni per le quali si entusiasmavano gli altri; vi mise, di suo, una più chiara coscienza di quelle ragioni. Dice ai rosso alabardati:

 

Giovani siete, per la madre vivi,

vi porta il vento a sua difesa. V’ama

anche per questo il poeta, dagli altri

diversamente – ugualmente commosso.

 

(La madre sarebbe la città nativa, della quale i giocatori di Squadra paesana portavano l’emblema sulla maglia, e che simbolicamente difendevano nella rete). Secondo Saba, la gente (e lui stesso) non si eccitava tanto per il gioco in sé, quanto per tutto quello che, attraverso i simboli espressi dal gioco, parla all’anima individuale e collettiva. E le Cinque poesie per il gioco del calcio sono nate in Saba da un’ultima possibilità che gli veniva offerta di “conpalpitare” cogli altri, di realizzare, in una festa popolare, il “sospiro dolce e vano” di cui parla nella poesia Il Borgo; di essere una volta tanto,

 

come tutti

gli uomini di tutti

i giorni,

 

Le sue poesie sportive ripetono, in forma arrovesciata, il motivo del Borgo: invece del dolore di non poter mai assomigliare alla maggioranza degli uomini, cantano la gioia di assomigliarle. Aggiungi, se vuoi, il piacere visivo di uno spettacolo per se stesso bellissimo, che però non sarebbe bastato, senza un contenuto emotivo più forte, ad accendere la sua immaginazione, al punto da trasformare la visione in poesia. Egli dice ancora ai rosso alabardati, a proposito del loro gioco:

 

Ignari

esprimete con quello antiche cose

meravigliose,

sopra il verde tappeto, all’aria , ai chiari

soli d’ inverno;

 

e delle accoglienze tributate ai suoi idoli della folla accalcata nei posti popolari, quando ne riceve il saluto:

 

                   …Poi

quello che nasce poi

che all’altra parte vi volgete, a quella

che più nera si accalca, non è cosa

da dirsi non è cosa ch’abbia un nome.

 

Da questi, come da tutti gli altri versi del gruppo, si sente che il poeta ere veramente ispirato, e ispirato fino alle lacrime. Le Cinque poesie per il gioco del calcio sono nate, come tutte le grandi poesie di Saba, da una lacrima e da un brivido. Non è a freddo, non è per un “giochetto letterario” che si scrive l’ultima strofa di Tre momenti.

     

Festa è nell’aria, festa in ogni via.

Se per poco, che importa?

Nessun’offesa varcava la porta,    

s’incrociavano grida ch’eran razzi.

La vostra gloria, undici ragazzi,

come un fiume d’amore orna Trieste.

 

Le Cinque poesie s’intitolano Squadra paesana, Tre momenti, Tredicesima partita, Fanciulli allo stadio e Goal. Le due prime le abbiamo gia ricordate, ne abbiamo anche citato dei brani. La Tredicesima partita  non fu giocata a Trieste, né vi entravano i rosso alabardati. Il poeta si trovava, assieme a sua figlia, a Padova. Si disputava in quel pomeriggio (non festivo) una partita eliminatoria fra il Padova ed un'altra squadra della quale non rammentiamo il nome. Perderla avrebbe significato, per il Padova, la retrocessione dalla prima alla seconda categoria del campionato. Si può immaginare lo stato d’animo dei pochi padovani presenti; pochi perché - come abbiamo detto - il rito si celebrava in un giorno feriale. Il Padova aveva contro di sé una squadra molto più forte; per di più non era in forma. Uno dei giocatori si era, all’ultimo momento, ammalato; lo sostituiva un anziano grassone, che da molto tempo non giocava più, sembrava non potesse reggere alla fatica, e segnò il goal della vittoria. (Fu un delirio). Ma, prima che l’emozionante partita incominciasse, il poeta e sua figlia si accorsero di suscitare i sospetti - l’inimicizia - dei vicini. Si pensava che come non parlavano il dialetto padovano, e non erano quindi di Padova, tenessero per la squadra avversaria. Quando invece, dai loro discorsi, si accorsero che desideravano la vittoria del Padova, i presenti improvvisarono loro quasi una piccola dimostrazione di gratitudine. “Quella signorina tiene per il Padova; quella signorina tiene per il Padova” si sussurravano l’un l’altro. E “la signorina che teneva per il Padova” fu ricompensata, alla fine della partita, con un mazzetto di fiori di campo, colti lì per lì in suo onore, nelle adiacenze del campo stesso.

La tredicesima partita si svolse - e continua a svolgersi nella poesia di Saba - in un’atmosfera di “ strana iridata trasparenza”. Era una giornata rigida; il vento deviava il pallone, la Fortuna

 

si rimetteva agli occhi la benda. 

 

Gli scarsi spettatori erano riuniti su di un’altura. Piaceva - dice il poeta, nell’ultima bellissima strofa della bella poesia (la migliore del gruppetto) -:

 

Piaceva

essere così pochi intirizziti

uniti,

come ultimi uomini su un monte,

e guardare di là l’ultima gara.

 

Sono, nella loro semplicità, versi che vanno molto al di là del gioco del calcio; potrebbero essere capiti e commuovere anche quando gli uomini non giocassero più al calcio, e non si sapesse più nemmeno in che cosa consisteva quel gioco; e perché suscitasse negli spettatori tante passioni.

 

Ed ecco la prima delle cinque, il cui titolo pone di per sé il tema della comunanza cittadina (Squadra paesana). Il metro è di versi liberi, dal ternario all’endecasillabo, variamente rimato.

 

        Anch’io tra i molti vi saluto, rosso

alabardati,

 

sputati

dalla terra natia, da tutto un popolo

amati.

 

Trepido seguo il vostro gioco.

                                                  Ignari

esprimete con quello antiche cose

meravigliose

sopra il verde tappeto, all’aria, ai chiari

soli d’inverno.

 

Le angosce,

che imbiancano i capelli all’improvviso,

sono da voi sì lontane! La gloria

vi dà un sorriso

fugace: il meglio onde disponga. Abbracci

corrono tra di voi, gesti giulivi.

 

Giovani siete, per le madri vivi;

vi porta il vento a sua difesa. V’ama                                                                          

anche per questo il poeta, dagli altri

diversamente – ugualmente commosso.

 

 

[2]

 

Goal

 

L’ultima lirica, tra le cinque dedicate al gioco del calcio. Un goal durante una partita, cioè uno dei pochi momenti di gioia pura (e di dolore spontaneo) che sia concesso di vedere sotto il sole. Ohimè! Gli uomini sono rosi e consumati ogni giorno dall’odio, dalle passioni; eppure ritornano qualche volta fanciulli, sono capaci di queste lacrime, di questa ebbrezza.

L’accenno all’odio, alle passioni può disturbare, può sembrare un elemento estraneo, introdotto dall’esterno; eppure sappiamo che proprio da versi come questi è necessario partire per comprendere la lirica di Saba, Ancora una volta il poeta si è salvato per la sua adesione cordialissima, festosa, alle ragioni più umili. Il segreto della poesia è nella purezza estrema che acquista ognuno dei gesti, ogni moto degli animi: quasi a sentire e gestire elementari, immuni dal peso terreno, dagli interessi mediocri. Il giuoco come leggerezza, come redenzione; o meglio (conforme alla stupenda intuizione che abbiamo visto) come capacità di “consentimento”, cessazione della pena esistenziale.

Le parole, i costrutti sono tra i più semplici del poeta, quasi prosastici. (Eppure raggianti, luminosi).

[…]

 

Il portiere caduto alla difesa

ultima vana, contro terra cela

la faccia, a non veder l’amara luce.

Il compagno in ginocchio che l’induce,

con parole e con mano, a sollevarsi,

scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

 

La folla - unita ebbrezza -  par trabocchi

nel campo. Intorno al vincitore stanno,

al suo collo si gettano, i fratelli.

Pochi momenti come questo belli,

a quanti l’odio consuma e l’amore,

è dato, sotto il cielo, di vedere.

 

Presso la rete inviolata il portiere

- l’altro- è rimasto. Ma non la sua anima,

con la persona vi è rimasto sola.

La sua gioia si fa una capriola,

si fa baci che manda di lontano.

Della festa - egli dice - anch’io son parte».

 

 

 

Da: A. GIANNI - M. BALESTRIERI - A. PASQUALI, Antologia della letteratura italiana, vol. III, parte seconda, Messina - Firenze, D’Anna, 1967, pp. 980-987

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